L’AUTODIDACTE, Valerio Incerto 2013

Valerio Incerto
« Vogliamo sfuggire al dilettantismo,
ma il dilettantismo ci insegue e ci acciuffa sempre»
T.
Berhnard

Studiai tutte le arti
come un uomo del rinascimento
tanti prontuari lasciati a metà
tanti laboratori serali
tanti corsi per il tempo libero
tanti spazi ricavati in casa
traboccanti miscele di trementina
spazi rubati al vestiario e alla pulizia
così ho imparato i rudimenti
ora avevo l’infarinatura giusta
per esercitare la poesia, la prosa,
le arti drammatiche e la fotografia
e la musica, arrivare fino alla settima arte
e tornare indietro,
tutto tranne la danza e la lirica,
quelle le consideravo arti per donnette
quelle non emanavano il fetore
dell’arte rancida dei reietti da Dio
era questo il fetore che mi inebriava
e distillavo feromoni: la mia energia creativa
e non volevo nessun Dio minore agli angoli delle strade
e dalla strada partii verso le mie ricerche da flaneur
che amava farsi guidare dalle parole del tango canzone
cosciente di aver seppellito il branco
volutamente ignaro
mai mediocre
un cane sciolto non può essere un mediocre.

Un tappabuchi dell’arte, certo,
l’artista qualificato a colmare
i vuoti che i professionisti disertavano,
niente ho approfondito:
ad una toppa non si chiede di trasformarsi in un pantalone.

Ma avevo i miei ammiratori
tutti hanno un ammiratore una volta saliti su un palcoscenico
e che mi convinsero che un giorno
mi sarei specializzato in qualcosa
e sarei diventato un “grande artista”
ma un freak rimane un freak, un weirdo

un freak per quanto buono che sia
nessuno lo prende sul serio
come freak non avevo diritto a parlare,
non mi davano la parola che davano agli esperti;

alla fine diventai un fenomeno da baraccone
buono per tutto,
un transgender delle arti
che batte  le sue opere sulla tangenziale delle tecniche miste
sempre tecniche miste! condannato alla sperimentazione!

Solo un negro alle fiere delle bestie da stile
nella giostra dell’intrattenimento continuo
«eccolo l’artista bizzarro, di cosa avete bisogno?
volete una musica? una poesia?
lanciategli una cazzo di monetina! dai!
colpitelo pure in testa! E’ più teatrale!»

L’applauso mi piacque a tal punto che
dissi di sì a tutte le proposte
non seppi più rifiutare e lavorai anche senza retribuzione
non mi pagarono o mi pagarono male e spesso fui usato
ma l’arte ama le sue vittime
e le vittime amano l’arte.
Di ammiratori ne ebbi a migliaia, a me bastavano quelli;

uno dei miei ammiratori mi confessò che aspettava
che diventassi vecchio e gobbo per toccare la mia gobba
sperando di avere la fortuna di non  diventare come me.
Come è  che mi ammirava e non voleva diventare come me?

Non vi ho ancora detto che mi scelsi un nome
mi piaceva “nessuno” ma era già stato usato
allora mi chiamai soltanto

Da “Lunarchia”, edizioni La Gru – http://www.edizionilagru.com/#!lunarchia/c1zlx

Riporto una chiacchierata che ci permette di conoscere meglio l’autore.

      Con quale criterio scegli di utilizzare un mezzo espressivo piuttosto che un altro, tra quelli che usi (la fotografia, la creazione di video, la poesia, il teatro) per comunicare un messaggio, un’emozione?
Questa è una domanda fondamentale che mi ha accompagnato in tutti questi anni: che forma dare ad un’idea? che medium scegliere?
Generalmente parto con un testo scritto e se trovo abbastanza stimoli visivi, umani o musicali nella direzione del testo, l’opera può diventare un video o altrimenti può trasformarsi in una poesia.Ultimamente tutto sta andando nella direzione del teatro, che rappresenta un’opera d’arte totale in cui posso mettere testo, musica, immagini e video, ed è quella che dà le soddisfazioni maggiori perchè uno spettacolo teatrale è arte viva, in trasformazione e cambia a seconda della rappresentazione.
Le poesie di Lunarchia risentono di questo problema di identificazione, ad esempio “L’AUTODIDACTE” sfugge alla definizione di poesia come a quella di monologo teatrale.

       Nella tua carriera artistica quale obiettivo ti proponi, sempre che tu abbia un obiettivo?
Non si possono non avere obbiettivi, sono quelli che hanno tutti gli artisti: pubblicare, essere conosciuti, vendere, cercare collaborazioni…ma questi sono solo obbiettivi secondari, l’obbiettivo primario è produrre un’arte che ti faccia star bene e ti migliori come persona, insomma una specie di terapia. Alcuni artisti per aver un rapporto equilibrato con la propria arte han bisogno di difarsene, altri non lo raggiungono e soccombono al proprio talento; l’esempio limite è Van Gogh, il suo istinto creativo era indomabile, negli ultimi anni dipingeva un’opera al giorno! la sua arte lo ha consumato, non certo la miseria o il fatto di non aver avuto successo in vita.

      Mi pare che per te sia fondamentale cercare di non essere banale, trovare gli strumenti per non appiattirti sul convenzionale. Quali autori ti hanno ispirato o comunque ammiri?
La lista degli artisti che mi ispirano sarebbe infinita, ma rimanendo nella poesia, per dirne alcuni con i quali trovo una certa affinità: Luigi Di Ruscio, Antonio Delfini, Salvatore Toma, poeti che omaggerò nel prossimo libro di poesie.
Naturalmente anche i classici mi ispirano ma non voglio citarli, gli si fanno già troppe celebrazioni. A me piace di più scovare poeti poco conosciuti, se non proprio sconosciuti, incontrarli di persona; fare una scoperta artistica ti dà molta soddisfazione. Uno degli ultimi che ho scoperto è Luigi Balocchi, ottimo poeta di Mortara.

      Grazie, Valerio.

 

 

 

Informazioni su giuseiannello

Pecco in parole, opere (e omissioni). Tratto sul serio: arte e scrittura
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