“Trasformazioni” vista da Simona Ravasi

https://www.instagram.com/p/CyQhvWoNMSWdSzmR-K0lGr49sNuRy__EwDKtk80/?igshid=MTc4MmM1YmI2Ng==

“Trasformazioni” vista da Simona Ravasi
Pubblicato in arte contemporanea, Recensioni | Contrassegnato , , | Lascia un commento

Prossimi impegni artistici

I mie prossimi impegni, a cui siete tutti invitati:

Pubblicato in arte, arte contemporanea, eventi, installazione, performance | Contrassegnato , , | Lascia un commento

Dentro e fuori, ministoria della mia arte

1959 La mia famiglia, originaria del villaggio di San Salvatore in Roccavaldina in Sicilia, emigra al Nord, esattamente a Vigevano, dove altri amici avevano già trovato casa e lavoro. I miei genitori erano mezzadri in una proprietà agricola ricca di alberi da frutto, con terreno fertile coltivato a patate, fagioli e altre verdure; allevavano animali per uso domestico e piccolo commercio di uova e latticini. Mio padre ha sempre detto di aver scelto di emigrare non per bisogno, ma per dare alle figlie maggiori possibilità di realizzazione. Il tema dell’immigrazione ricorre spesso nelle mie opere e nella mia scrittura.

Emigranti italiani degli anni 50/60, foto web

I miei primi ricordi risalgono agli anni ’60, in cui frequentai l’asilo delle Suore Pianzoline presso la Parrocchia dell’Addolorata di Vigevano. Parlavo male l’italiano, perchè in famiglia si usava il dialetto e quindi non ero bene accetta alle altre bambine, che mi prendevano in giro per il mio accento e cercavano anche di suonarrmele, essendo io di carattere molto timido e introverso. Da allora qualsiasi critica risveglia in me la bambina offesa e maltrattata, ma per fortuna non sono più timida e introversa e ho accumulato esperienza, potrei oggi essere la nonna di quella bambina, quindi reagisco all’istintivo dolore che si ridesta con una certa consapevolezza che la vita non risparmia niente e nessuno, per cui tanto vale cercare di superare i momenti critici con tutto il coraggio che abbiamo e anche, se riusciamo, una certa dose di menefreghismo. Non esiste al mondo nessuno che possa toglierci la libertà di essere ciò che siamo, nessuno ha il diritto di decidere per noi. Una cosa, un atteggiamento, può piacere o non piacere, ma questo dovrebbe cambiare le nostre scelte solo se la critica che ci viene mossa ci convince. Nessuno ci conosce meglio di noi stessi, nessuno sa cosa è meglio per noi.

-1960 Jannis Kounellis è in Italia da quattro anni, anche se, naturalmente, io non ne sono consapevole. Nel 1967 inizia il percorso installativo con materiali ideologicamente vicini all’Arte povera teorizzata da Germano Celant, che culminerà nell’installazione performativa dei dodici cavalli vivi legati nell’Attico di Fabio Sargentini, un garage riadattato per accogliere la nuova arte di Pino Pascali, Simone Forti e Jannis Kounellis, anche se purtroppo nel 1968 Pino Pascali morirà in un incidente di moto. Io scoprirò Kounellis molti anni più tardi e rimarrà per me un importante punto di riferimento, un artista che stimo perchè ha creato da cose ordinarie opere straordinarie e soprattutto perchè è sincero. Ha sempre seguito il suo percorso interiore senza cercare di essere commerciale o bene accetto dalla critica, e nonostante questo l’apprezzamento è sempre arrivato. La sua identità si richiama sia alle origini greche, sia al suo essere un artista profondamente italiano, figlio della Madonna di Tiziano e dell’ambiente artistico romano degli anni Sessanta. Si è sempre definito pittore, nonostante negli anni avesse quasi del tutto abbandonato la pittura per esprimersi attraverso le installazioni, che occupanto lo spazio e pretendono l’attenzione a tutto tondo, non se ne stanno buone buone, verticali, su una parete ad aspettare lo sguardo di chi visita la mostra.

Jannis Kounellis, Senza titolo, 1989, Museo di Capodimonte, Napoli

-L’informale in pittura volgeva già al tramonto, ma lo cito perchè ritengo che buona parte dell’arte contemporanea, compreso il mio lavoro, gli debba molto.

Afro Basaldella, Per il giardino della speranza 1972

Afro Basaldella è stato il Docente di pittura del mio insegnante, Mastro Oronzo, all’Accademia di Firenze negli anni 1968/72. Nei primi anni Ottanta ho seguito i suoi corsi all’Istituto Arti e Mestieri Vincenzo Roncalli di Vigevano.

Alle elementari disegnavo sull’album Roselline, dove i disegni e alcune greche sono suggeriti dall’editore. Mi accorsi da allora che disegnare è compiere un piccolo miracolo, da otto trattini al posto giusto si costruisce la visione di un fiore. Probabilmente è il momento in cui decido di continuare a fare questo per tutto il resto della mia vita.

L’album da disegno ROSELLINE

Leggo delle favole illustrate a dispense che mia madre mi comprava al mercato. Il suo ritorno era atteso con ansia, seguito dal piacere intenso della lettura e dalla visione dei disegni che illustravano le fiabe. Lì ho incontrato Aladino e Biancaneve e ho acquisito una visione magica della vita: nulla è mai perduto come può sembrare, si può sempre uscire da una brutta situazione con l’intervento delle forze occulte, magiche e divine, o meglio ancora da una forte volontà che piega gli eventi avversi. Una simile visione si rafforzerà guardando:

-l’Odissea di Franco Rossi su Raiuno, nel 1968. Basata sull’Odissea di Omero, è ricca di pathos e ambientata divinamente nella Grecia del VII secolo a.C. Ivolti di BekimFehmiue Irene Papas, le loro parole e i loro gesti resteranno stampati per sempre nella mia memoria. In tutti gli uomini che incontrerò cercherò inconsciamente i tratti di questo Ulisse; anche fisicamente un uomo che ho molto amato gli somiglierà perfino nell’aspetto.

Bekim Fehmiu, Odissea

Questa impostazione mitica e magica percorrerà sempre la mia opera, sia nelle arti visive, sia nella scrittura.

-Nelle campagne lomelline si vedono le ultime mondine, le mondariso. Sono donne di tutte le età, dai tredici ai settant’anni e provengono dalle cittadine limitrofe, ma anche dal Veneto, dal Piemonte, dall’Emilia Romagna. Stanno curve a trapiantare il riso e a togliere le erbe infestanti con ogni tempo, anche quando piove forte, a mollo nell’acqua delle risaie, condividendo lo spazio con rane, bisce d’acqua, sanguisughe. Le zanzare le torturano, per questo indossano gonne o pantaloni corti arrotolati accoppiate con lunghe calze di cotone e manicotti per le braccia. Spesso nei manicotti nascondono rane, che una volta fritte saranno il pasto serale. Per condividere e alleviare la fatica intonano canti forieri di rivoluzione e rivendicazione dei loro diritti di lavoratrici. È grazie agli scioperi delle mondine e dei braccianti agricoloi che a loro si unirono nel secolo prima, che nel 1912 entrò in vigore nel Regno d’italia un regolamento che fissava ad otto le ore di lavoro giornaliero delle mondariso, ed era la prima volta. Erano pagate pochissimo, anche in natura con un chilo di riso al giorno. Con questo piccolo tesoro tornavano a casa ed erano in grado di sfamare la famiglia, i figli piccoli. I sacrifici che affrontavano da maggio a luglio, il periodo della monda, erano immensi, ma rappresentavano una voce importante nel bilancio delle famiglie d’origine. Dormivano su letti di fortuna e materassi di paglia, in grandi stanzoni comuni. Di fianco a ogni letto, sul muro, era fissato un chiodo a L., dove potevano appendere gli abiti, le borse, i pochi averi. Quel gancio era la loro casa per i tre mesi della trasferta. Al massimo due bagni comuni erano a disposizione delle mondine, ma era già un lusso: nella risaia i bisogni fisiologici erano espletati spostandosi di qualche metro dalla fila, non c’era il tempo di fermarsi. I caposquadra erano inflessibili, l’unica concessione era un mestolo d’acqua che ogni tanto passava di bocca in bocca per dissetarsi.

Ho potuto vedere uno di questi stanzoni nella cascina di Alberto Fusar Imperatore a Ottobiano, il cui padre da fotografo, morto proprio in questi giorni, ha documentato la vita delle mondine, non solo le dive di Hollywood e di Cinecittà.

Quello delle mondine, allargato alla loro condizione di migranti, è un tema che ricorre spesso nella mia produzione.

Evaristo Fusar, Mondine

Per un chilo di riso, Giuse Iannello – versione Florence Biennale

installazione a misura variabile con cammei in resina raffiguranti le mondine

Sebben che siamo donne

light box cm. 49X49 con fotografia su lucido e resina epossidica

– A partire dalla metà degli anni ’60 appaiono sulla scena artistica il minimalismo, in cui viene eliminato tutto ciò che si reputa inessenziale. Questo movimento richiama da un lato i ready-made di Duchamp, dall’altro la riduzione purista della pittua di Reinhardt. Esponenti della Minimal Art americana sono Donald Judd, Carl Andre, Sol Lewitt, Barnett Newman, il Rauschemberg dei White paintings. In Europa il movimento si interseca con l’arte concettuale, lo spazialismo di Lucio Fontana e l’arte povera. Al minimalismo possiamo ascrivere Yves Klein, Roman Opalka, Piero Manzoni, Enrico Castellani, Giulio Paolini.

Sempre negli anni Sessanta nasce l’arte concettuale, di cui Joseph kosuth si può considerare il capofila, ossia un’arte in cui è più mportante il pensiero su cui si fonda rispetto ad un equivoca bellezza formale che dia piacere estetico. In essa è fondamentale il rapporto parola-immagine. In Italia Vincenzo Agnetti lavora molto con la parola. I confini tra minimalismo e arte concettuale sono quansi indefiniti e a volte l’uno sfocia nell’altro, come pure possono considerarsi diramazioni dell’arte concettuale la body art e la land art.

Joseph Kosuth, One and Three Chairs

Anch’io mi definisco artista concettuale, in senso lato qualsiasi cosa che nasce da un pensiero lo è, altrimenti è alto artigianato o arte consolatoria.

-La body art, nata anch’essa negli anni Sessanta, fa riferimento agli happening di Allan Kaprow della fine degli anni ’50, alle azioni degli artisti Gutai del 1954. Tra i performer più famosi degli anni ’60 vi sono Yoko Ono e Yayoi Kusama, Joseph Beuys, Nam Jume Paik, Herman Nitsch dell’Azionismo viennese. Artisti molto diversi tra loro che hanno in comune il corpo come mezzo di espressione e un certo ritorno alle azioni rituali che da sempre caratterizzano l’ umanità. Negli anni Settanta la performance art avrà piena realizzazione nelle azioni di Marina Abramovic, in coppia con Ulay, in Vito Acconci (celeberrima la sua performance in una galleria in cui si masturbò in una galleria nascosto da una pedana di legno al pubblico, cui però arrivanano amplificati tutti i rumori che da lui provenivano). Altro nome di spicco è Gina Pane, che arrivò a compiere atti di autolesionismo che dovettero essere interrotti per non giungere alle estreme conseguenze. La performance art nasce anche per sganciare l’arte dai musei e dalle logiche commerciali: gli artisti inventano qualcosa che non si può vendere, un atto effimero che a volte non viene neppure documentato, ma passa attraverso il ricordo orale, come d’altronde era successo con gli aedi greci e con tutte le mitologie arcaiche.

Tutti questi movimenti dell’arte concettuale si possono comunque considerare l’epilogo delle avanguardie del Novecento, dei Futuristi , del Cabaret Voltaire dei Dada, di Duchamp che passò attraverso tutti questi aspetti dell’arte. È difficile ancora oggi inventare qualcosa che non sia stato sperimentato prima da Marcel Duchamp, che secondo me rappresenta il Genio assoluto dell’arte del XIX Secolo, e non solo.

Non ho vissuto da protagonista il ’68 perchè ero ancora un’adolescente più interessata alle rivoluzioni del mio corpo che ai movimenti di liberazione studentesca e femminista, ma il grande peso che questo movimento avrà sull’evoluzione della società, e quindi dell’arte, non ha risparmiato nemmeno la mia vita. Negli anni ’70 ho vissuto la mia giovinezza con una libertà sessuale impensabile solo dieci anni prima.

-A questi aspetti di gioco, di non senso, di passione artistica e, in certo senso, di azioni scondiderate del Dada, si richiamerà uno degli ultimi movimenti del Novecento, l’enfatismo. Francesca Alinovi ne scrisse il manifesto che fu pubblicato al posto del necrologio su Flash Art, nel 1983. Alinovi, insieme a Renato Barilli, curò la settimana della performance dal 1977 al 1982, invitanto i nomi più importanti che c’erano in circolazione, da Laurie Anderson a Marina Abramovic, passando per Luigi Ontani. Sarà merito di Francesca Alinovi, che faceva la spola tra New York e Bologna, aver introdotto in Italia i graffitari Newyorchesi come Basquiat, Haring e Scharf. La sua idea di non porre freni al rimescolamento tra arte alta e arte bassa, tra vita quotidiana e ascesi artistica è estremamente moderna, post-moderna direi, e ancora attuale. La malaugurata, tragica, vicenda che l’ha vista coinvolta ci ha privati di un critico e un curatore lungimirante e assolutamente fuori dagli schemi. Ne avremmo viste delle belle, non tanto con i suoi enfatisti, quanto attraverso il suo percorso critico.

Francesca Alinovi

I miei light box seguono questo principio di fusione tra l’arte e gli oggetti di uso quotidiano secondo quanto teorizzato da Alinovi.

Negli anni Ottanta mi sposo e per un certo periodo abbandono tele e colori. Li riprenderò in mano più avanti, ma a un certo punto mi accorgerò che la pittura, le due dimensioni, non mi bastano più.

Comincerò quindi a pensare alla performance e a progettare piccole installazioni, dove confluiranno pittura, scultura, azione, fotografia, tutto quanto io reputi necessario alla mia opera.

-Di ciò che nel mondo dell’arte è successo in seguito, salverei come determinante l’estetica relazionale di Nicolas Bourriaud. Il suo libro postproduction dà perfettamente l’idea di quanto sia ormai scontato appropriarsi dell’arte che ci ha preceduti, trasformarla a nostro piacimento e così riproporla al pubblico. Già Alinovi era consapevole di questo atteggiamento degli Artisti, ma Bourriaud ha avuto il merito di formalizzare tutto questo, compreso il ruolo sempre più importante che riveste il pubblico per rendere completa un’opera d’arte.

Felix Gonzales Torres, Untitled (Portrait of Ross in L.A.), 1991

NEL CERCHIO MAGICO,

performance relazionale eseguita nei Musei Civici di Vigevano e durante INSIGHT photo Festival a Varese.

Dopo quello che ho raccontato nulla è successo nella mia vita che valga la pena di essere raccontato, se non il trapianto e l’ho fatto con un libro edito da Ladofli editore, “CONGIUNZIONI DIVERGENTI” del 2015. IIl tempo è volato incredibilmente in fretta e mi sono ritrovata improvvisamente ad avere molti più anni di vita dietro le spalle che non davanti. Ogni volta che ci penso questa cosa mi sorprende, ma c’è solo un modo per non morire ed è continuare a crescere, per questo mi sono iscritta all’Accademia di Brera. Mi sono fatta un regalo, ho realizzato un sogno che avevo nel cassetto e questo impegno mi ha aiutata a superare un momento molto difficile della mia vita, la tragica morte di un amico cui tenevo molto e il ripresentarsi della malattia dopo il primo trapianto, che mi obbliga al trattamento dialitico tre volte alla settimana.

Sono consapevole che a una certa età è praticamente impossibile non dico sfondare, ma nemmeno entrare nel mondo dell’Arte, ma questo non ha importanza più di tanto. Continuerò nel mio piccolo a esprimermi attraverso di essa senza aspettarmi nulla, unicamente per il piacere di condividere i miei pensieri con altre persone che hanno i miei stessi interessi. Sarà il mio canto nella risaia.

Mondine che cantano, fotogramma dal film Riso amaro di Giuseppe De Santis

Pubblicato in arte, arte contemporanea, Farina del mio sacco, fotografia | Contrassegnato , , , , , , , | Lascia un commento

“Movimento prigionie trasparenti”

Manifesto di pratica performativa di Giuse Iannello

Tadeusz Kantor, La classe morta (immagine web)

La mia idea di performance rientra nel solco dell’indagine sulla condizione dell’uomo, che indago artisticamente da qualche anno. L’uomo contemporaneo, ma anche l’Uomo in quanto tale, quando non è prigioniero di altri uomini, delle regole che altri uomini impongono, è prigioniero del Tempo e della vita stessa, dal momento in cui “viene gettato nel mondo” (Heidegger). Si trova quindi in una condizone che non ha scelto, di cui non coprende fino alla fine lo scopo e che per questo motivo lo pone in una situazione di angoscia, una situazione potremmo dire originaria dell’uomo. Con l’arte, con i rituali tribali o sacri cerca di interagire con ciò che non comprende, tenta di entrare da creatore nel flusso della vita ed esorcizza la morte. Da quasi tutti gli Artisti che abbiamo trattato durante il corso di Tecniche performative vorrei prendere qualcosa, talmente forte è l’emozione che mi hanno suscitato, ognuno per un diverso aspetto, ma non solo la parte emotiva è stata sollecitata, benì anche quella razionale che ha ammirato la coerenza del percorso artistico e il coraggio dell’innovazione, se non addirittura il coraggio fisico nel rischare di essere perseguitati dal Potere che si critica, come nel caso di Shirin Neshat.
Comunque, se proprio devo scegliere alcuni aspetti delle varie poetiche che abbiamo esplorato durante questo corso di Loredana Putignani, direi che questi punti possono riassumere un po’ tutto quello che vorrei inserire nelle mie prossime pratiche performative:

  1. TADEUS KANTOR (Polonia, 1915 -1990) L’oggetto utilizzato sulla scena e nelle mani dell’attore esiste come l’attore. “Oggetto=Attore” aveva egli detto a proposito di una delle sue installazioni famose; sono rimaste molte di queste piccole cariche, nei loro elementi od “oggetti” compositivi, di allusioni, messaggi segreti, capaci di risalire dal particolare evidenziato alla generalità di un significato, all’universalità di un’idea. Tutta l’azione e gli oggetti rimandano alla precarietà dell’esistenza, (La classe morta) ma anche al mistero gioioso della vita (Eros) in un infinito gioco di specchi sul tema del doppio, che verrà ripreso anche da Anne Imhof. Come nel conterraneo Grotowskyi la raprresentazione deve avere anche carattere rituale, dove il sacro è comu icato indirettam nte, rimandando all’invisibile.
  2. ANTONIO NEIWILLER (Napoli 1948-1993) “L’arte nell’universo della comunicazione totale non può essere un prodotto fra gli altri, deve mostrare un segreto, deve alludere a qualcosa che va custodito.” Così la performance…Il teatro performativo deve essere un’esperienza laboratoriale lontana lontana dalla mercificazione dell’arte e dal consumismo. Le coordinate dell’esistenza sono lo spazio e il tempo: in queste coordinate si deve muovere la performance. Si accede a queste dimensioni anche e soprattutto attraverso il silenzio.
  3. ANNE IMHOF (Germania, 1978) Vorrei che fossero evidenziate “la coralità della proposta, la pluralità degli intrecci…il ricco cromatismo, le armonie, la sintesi delle arti poetiche e recitative e visuali. E pensiamo a tutto ciò come ai valori di una spettacolarizzazione che non ha eguali. Il percorso espositivo di Anne Imhof invita, quindi, a percorrere l’intervallo tra il vivente e il non vivente, tra l’ombra e la luce, tra il passato e il presente, tra l’immobilità e l’azione, tra l’intensità e il disincanto, e a inventare una nuova prospettiva dello spazio occupato. In definitiva si tratta di un canto ininterrotto, quello che parla con l’arcano e genera le fragranze nascoste: senza voler essere irriguardosi mi vien da parlare di equivalenza e di corrispondenza, cioè di forme in allineamento, un po’ come i pianeti nell’armonia delle loro orbite o come il cane acciambellato che unisce la testa alla coda.”(Juliet Magazine.com)
Pubblicato in arte, arte contemporanea, performance | Contrassegnato , , | Lascia un commento

BANDO di partecipazione alla mostra “TRASFORMAZIONI”

https://evuzart.wordpress.com/2023/06/10/bando-di-partecipazione-alla-mostra-trasformazioni/

Pubblicato in scrittura | Lascia un commento

La recensione di Giuseppe Castoldi di “Taccuino d’arte e di cultura”

L’inaugurazione: da Sx il Curatore Edoardo Maffeo, Giulietta Faccioli, Giuse Iannello, il Sindaco di Vigevano, Dott. Andrea Ceffa

cr. ph. Lorenzo Lucatelli

“SOSPESI E D’ISTANTI” – SULLA BI-PERSONALE DI GIULIETTA FACCIOLI E GIUSE IANNELLO AL CASTELLO DI VIGEVANO

Un merito dell’associazione artistica Evuz – come ho già osservato in un altro post riguardo all’evento “parallelo” tenutosi presso il castello di Vigevano (“Spietata realtà”, di Minerva e Sala) – è quello di sollecitare la presa di coscienza e la riflessione sia sulle questioni di fondo dell’esistenza sia sui problemi di attualità.

Ottimo esempio in questo senso è stata anche la mostra “Sospesi d’istanti”, curata da Edoardo Maffeo, delle due artiste Giuse Iannello (presidente di Evuz) e Giulietta Faccioli, che ha avuto luogo dal 23 aprile al 7 maggio. Anche qui abbiamo avuto una grande affluenza di pubblico e l’intervento del Sindaco all’inaugurazione. Da segnalare la pubblicazione di un elegante catalogo (con presentazioni di Edoardo Maffeo e Francesco Fresi) e la performance conclusiva “Transfer” con la partecipazione della squadra agonistica di nuoto del Centro Mondetti.

Sapendo che il tema caratterizzante era quello del tempo, ho cercato di dare al titolo una mia spiegazione: nella nostra vita, che è un incessante flusso temporale “d’ istanti”, dal passato al futuro passando per un assai volatile presente, siamo continuamente “sospesi” tra il desiderio e la realizzazione, tra il già e il non ancora, tra la certezza e l’indeterminatezza, e in fin dei conti “distanti” da ciò che vorremmo essere o vorremmo veder realizzato.

Le due artiste affrontano la temporalità in modo diverso, Giuse in senso più diacronico, considerando le cristallizzazioni che il divenire produce, Giulietta in senso più sincronico, focalizzandosi maggiormente sull’attimo da cogliere, “hic et nunc”. Per entrambe vale il discorso sia su caratteri atemporali della condizione umana, sia su criticità e drammi delle odierne contingenze.

Iannello utilizza spesso nelle sue opere la resina epossidica, che una volta solidificata è si trasparente ma anche dura, creando un’ambigua impressione di apparente ed illusoria liquidità e libertà, ma in realtà rinchiudendo la persona in rigide “liquide prigionie”. Che cosa ci rende prigionieri? I casi della vita, l’evoluzione del nostro percorso biografico, i condizionamenti esteriori di ogni tipo, a partire da quel discorso un po’ pirandelliano della definizione di una nostra identità che ci incapsula, indirizzandoci su un preciso binario e soffocando le infinite possibilità di percorso che avremmo potuto avere. La vita è un enigma il cui significato è nascosto in frammenti dispersi da raccogliere e mettere insieme. Significativa, in questo senso, è l’opera “The meaning of life”, costituita da 30 formelle sul cui retro ci sono parti di una frase compiuta la cui unità verrebbe dispersa tra i vari collezionisti che dovessero acquistare solo parti dell’opera, facendo così perdere quel significato che è noto solo all’autrice e al notaio presso cui la frase è stata depositata (un suggerimento: perché non comprare l’opera per intero?).

Ogni lavoro meriterebbe un lungo discorso a sé, cosa che qui non posso fare. Mi limito a dire che accanto ai temi esistenziali ci sono riferimenti a problemi come l’inquinamento, l’oppressione del potere, l’isolamento dovuto alla pandemia, il fenomeno migratorio nei suoi aspetti più duri e non di rado tragici. (ad es. nell’opera “The wrong stargate”).

Giulietta, con opere tecnicamente più “leggere” (perlopiù dipinti su carta da spolvero intelaiata) vede invece il tempo nella sua dimensione istantanea, puntando in particolare sulla figura del tuffatore (ecco il significativo collegamento con la performance del finissage), che rappresenta l’uomo pronto a buttarsi nella corrente vitale e nel gorgo delle opportunità per afferrare, spesso non senza rischio, le occasioni più propizie. Anche qui c’erano però diversi riferimenti a situazioni d’attualità: la lotta per la libertà delle donne iraniane, (“Donna, vita, libertà”), lo scandalo delle giovani ginnaste vessate dalle allenatrici (“Insaziabili silenzi”), la tragedia dei migranti morti in mare (“Ricordati di me”).

Al di là del semplice valore estetico – che è sì importante, ma che da solo non rappresentare l’essenza costitutiva dell’arte – entrambe le artiste sanno offrire stimolanti spunti di riflessione di carattere sia filosofico sia politico-sociale, secondo una concezione “impegnata” che attribuisce all’arte una funzione non semplicemente decorativa.

Per un approfondimento: si vedano le pagine FB “Giuse Iannello”, “Giulietta Faccioli”, “Evuz Art” e i siti www.giuseiannello.it e www.evuzart.it

“SOSPESI E D’ISTANTI” – SULLA BI-PERSONALE DI GIULIETTA FACCIOLI E GIUSE IANNELLO AL CASTELLO DI VIGEVANO

Pubblicato in arte, arte contemporanea, eventi, fotografia, installazione, performance, PITTURA, scultura | Contrassegnato , | Lascia un commento

ISTANTANEE DEL TEMPO SOSPESO

recensione di Roberto Comelli

Cr. ph. Roberto Comelli – Dall’alto: GIIULIETTA FACCIOLI Soldato e Tuffatore –

GIUSE IANNELLO Pianeti sbagliati e The meaning of life

Con grande piacere riporto la recensione di Roberto Comelli alla nostra mostra bipersonale:


ISTANTANEE DEL TEMPO SOSPESO

di Roberto Comelli

L’arte riflette sulla soglia dell’attimo e della distanza nella nuova mostra al Castello di Vigevano

Le armoniche proporzioni della Seconda Scuderia del Castello si rivelano misura perfetta per ospitare la bipersonale “Sospesi d’istanti”, un confronto-incontro dialettico tra le artiste Giulietta Faccioli e Giuse Iannello, imperniato sul tema dell’istante e delle sue declinazioni possibili lungo le coordinate del tempo e dell’esperienza individuale e collettiva. Vale a dire, nella sua dilatazione infinita e indefinita – un “tempo ibrido”, ha scritto persuasivamente Edoardo Maffeo nell’introduzione al pregevole catalogo – come avviene nella ricerca della Iannello, dove la durata dell’esistenza è spesso esposta alle minacce oblique di prigioni invisibili, eppure assolutamente pervasive (le “prigioni di cristallo”). Oppure – come sembra proporre la Faccioli – il suo concentrarsi nel distillato dell’attimo, sospeso tra passato e futuro, tradotto in icona una volta per tutte nel gesto del tuffatore, in bilico sul crinale del presente come un remoto affresco pompeiano, relitto di molti naufragi che abbia traslato fino ai nostri lidi temporali il palpitare dell’esistenza sopravvissuta.

Certo, l’opera di Giuse Iannello – da tempo alla guida dell’associazione Evuz Art – non esibisce, ma custodisce i significati, lasciandoli affiorare lentamente attraverso una rete di segni e di relazioni semantiche da allestire o da ricreare all’interno di un’operazione critica che lo spettatore è indotto – quasi costretto – a perseguire. Arte pertanto non facile la sua, dentro la quale la visione è un momento creativo anche per chi la fruisce, una stazione nella quale “noi non conosciamo noi stessi, immaginiamo solo noi stessi”, come scriveva Jodorowskj. Eppure, l’operazione demiurgica di questa autrice, pur prendendo l’avvio e nutrendosi indubbiamente da una matrice concettuale, non è mai intellettualistica e, nel suo procedere artistico, non si avverte mai la tendenza – tipica dell’Arte concettuale – a una sorta di smaterializzazione o di caduta di interesse per la dimensione oggettuale del manufatto artistico. Al contrario, qui la materia, la natura – le vestigia del creato, potremmo dire – sono colte e racchiuse, quasi incrisalidate grazie all’uso di resine speciali in una sospensione di tempo e in un’indefinitezza di spazio. L’esito è sempre nella direzione di un accadere umano, sovente intessuto di memoria, denuncia e nostalgia – rivelando come la ricerca della Iannello non approdi mai all’automatismo razionalista di una produzione seriale o all’imperativo didascalico-ideologico di un “messaggio”, ma piuttosto s’intrida di un ermetico romanticismo palpitante alle soglie dell’inattuale.

D’altro canto, le creazioni di Giulietta Faccioli ci lasciano sostare alle porte di un tacito mistero, indagando il crinale dell’attimo lungo il supporto millenario, evocatore di un Oriente estremo, della fragilità della carta intelaiata, sopra la quale le testimonianze pittoriche paiono vibrare dell’oscillazione liquida di rapide guaches dalla trasparenza fluttuante, oppure comporsi in agili e quasi improvvisi assemblaggi di collages, sempre conservando il senso di una mobilità sospesa, di uno slancio verso un culmine del gesto nel medesimo tempo eternato e mai raggiunto. Il tutto, immerso in una grande sapienza coreografica e decorativa, con un’elegante e pregnante misura di risorse cromatiche ed un sapiente ricorso poetico a linee che nella scabrosa conquista del tratto si stagliano su sfondi neutri ma eloquenti, come fondali antichi in emersione da muri sepolti o sommersi come mitiche rovine. Cosi, le figure diventano tracce – e ancora una volta tracce profondamente, struggentemente umane, marcature del divenire, cicatrici di un’interiorità pudicamente esposta, frammenti di un’utopia più calma e radiosa, al cospetto del turbine e delle ferite del tempo.

“SOSPESI E D’ISTANTI”

mostra bipersonale d’arte di

Giulietta Faccioli e Giuse Iannello

a cura di Edoardo Maffeo

Evuz ArtRetecultura Vigevano

Seconda Scuderia del Castello di Vigevano

fino al 7 maggio 2023

Continua a leggere
Pubblicato in arte contemporanea, Recensioni | Contrassegnato , | Lascia un commento

Le Artiste di Sospesi e d’istanti

GIULIETTA FACCIOLI

Sono figure che da sempre caratterizzano la sua produzione: Giulietta li chiama semplicemente i “tuffatori”.

A volte le pennellate sono ampie, essenziali, quasi nervose; le calligrafie dei tracciati e le tonalità che le animano diffondono l’atmosfera di un impegno serio e scrupoloso che si fa premura di esprimere l’essenza dell’efficacia, forse addirittura la sintesi dell’efficienza. Altre sono pervase dallo spirito paziente e riflessivo, ma altrettanto efficace, della figurazione, quella scabra, essenziale, quasi metafisica. Gli esiti non mutano comunque. La tensione palpitante, il dinamismo posturale, le emozioni taciute e le storie, accennate e non, sono rese con assoluta efficacia attraverso prospettive di forme, luce, riflessi e trasparenze. Immagini frementi di vita che se ne stanno come a meditare, ad attendere il momento giusto per l’azione o a goderne l’attimo, rispettando il silenzio magico dei vuoti in cui sono immersi. Figure in bilico tra un passato noto e un futuro dalla tinte incerte, difficile da immaginare. Quello che resta allora è il presente, carico di preoccupazioni e dubbi. Questi tuffatori spesso non hanno gli occhi né la bocca, ma sembra che siano lì, da sempre, a scrutare le vibrazioni del tempo sospeso e a respirare l’interminabile fremito degli istanti.

Edoardo Maffeo

Vicino o lontano. Da sopra a sotto. Da dentro a fuori. Eleganza simmetria e potenza emotiva espressi in una frazione di tempo ristrettissimo, pura poesia o estremo gesto di chi vorrebbe sopravvivere o vivere vincendo. Una linea di separazione, un’arbitraria scissione tra ciò che nasce o muore in cui il groviglio che allontana fuoco da acqua, cielo da terra, vita da morte e/o tuffo da lancio viene a perdersi. Affinché l’osservatore rinunci alle sue certezze aprendosi così a nuove visioni o esperienza di vita. Se poi lassù, in qualunque trampolino di vita io scoprissi che non è immutabile paura ciò che mi paralizza ma soltanto naturale insicurezza umana…a quel punto sarebbe soltanto un istante: terra, cielo, acqua e il salto è fatto!

Francesco Fresi

Giulietta Faccioli è una creativa.

Nasce a Milano nel 1977, nel 2002 si diploma in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Ha partecipato a diverse mostre collettive nel milanese, fra cui il Salon I al Museo della Permanente. Fino al 2018 si è dedicata principalmente alla realizzazione di scenografie e decorazioni, collaborando con importanti realtà teatrali e di arredamento navale, senza però abbandonare la sua personale ricerca artistica. Nel 2013 si è trasferita a Vigevano dove è venuta in contatto con realtà locali come l’associazione Evuz Art con la quale ha esposto nella collettiva del 2022 “ Inclusioni”, presso il Castello di Vigevano. Tutt’oggi è docente presso una scuola secondaria di primo grado.

La sua ricerca creativa esplora le dinamiche correlate fra vuoto, corpo e movimento. Le sue opere sono, per lo più, realizzate su carta ed intelaiate su tela. Nelle prime opere si concentra sul tema dei “tuffatori”, dalla quale è affascinata perché, in pochi istanti, sanno creare perfette coreografie quasi a fermare il tempo in uno spazio indefinito. Nelle ultime opere, ha preferito legare l’aspetto del “vuoto” a tematiche sociali trasformando lo spazio in solitudine.

Giuse Iannello

Viviamo giorni in cui tante, forse troppe, immagini scorrono febbrilmente davanti ai nostri occhi ormai ridotte a inespressive icone, perlopiù sgranate, forse sorprendenti, ma sicuramente distanti e le parole, smaterializzate e digitali, hanno saturato il quotidiano perdendo fatalmente ritmo e suono.

Sono i segni di un tempo ibrido, indefinito, ignoto, tra il già e il non ancora, in bilico fra ieri e domani, uno scosceso crinale fra brutte storie e cronaca inquietante.

Attraversiamo un frangente nel quale continuare consapevolmente a fare ed esprimersi attraverso l’arte è fatalmente diventato un’operazione complessa e faticosa anche per chi, come Giuse Iannello, da anni concentra la sua ricerca sulla dimensione esistenziale dell’essere umano sempre più travolto da destabilizzanti angosce individuali e da grandi drammi sociali. Un uomo spesso smarrito e rinchiuso tra le mura trasparenti di quelle che lei, evocando Orwell o forse più Rodari, chiama le “prigioni di cristallo”.

Eccola allora dar vita a reperti senza tempo, dipinti, incisioni, installazioni e light box, più che mai contemporanei perché sospesi in una dimensione dove il sapere artigianale dell’arte si incontra con le più innovative tra le tecniche a disposizione.

I materiali scelti permettono alle sue opere di entrare nell’astrazione completa, e sono percepite dall’occhio lentamente, tramite la trasparenza e la leggerezza. L’attenzione, poi, è attratta verso un’esperienza estetica più forte, fatta di colori vividi, umorali, a volte addirittura violenti, e superfici appena graffiate dalla mano dell’artista. Nella loro lucida concretezza e nella loro instabilità reale o solo apparente, lo spettatore ritrova gli elementi di una narrazione in cui le dinamiche e le dialettiche tra l’essere ed il suo vissuto restituiscono l’occasione di recuperare la forza immaginativa e la consapevolezza gestuale della propria esistenza. Sono frammenti di culture diacroniche improvvisamente complici, relazioni emozionali create con cura, sono racconti sul filo della memoria declinati con un linguaggio risoluto ed intenso attraverso immagini remote, che credevamo perse, recuperate e riportate al presente.

Il fine ultimo è indagare tra le micro e macro storie di un mondo resiliente che attraverso l’esercizio della memoria non intende lasciarsi passivamente rinchiudere tra le sbarre d’alcun gabbio, che in attesa dell’ineluttabile percepisce esser giunto il tempo di scegliere tra cosa conta e cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è e che, comunque, non intende vivere né tempi sospesi né di soli interminabili istanti.

Edoardo Maffeo

Giuse Iannello è artista e scrittrice.

Diplomata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, ha esposto in numerose personali e oltre cento collettive a partire dal 1996. Tra le ultime personali “FRAMES” presso Spazio Alveare a Milano risale al 2019/2020, “Tu chiamale se vuoi” a cura di Giordano Magnoni e Viviana Saino presso S.C. Selva Alta Vigevano al 2021, mentre tra le ultime collettive segnaliamo: “ISTANTANEA” presso CAM Garibaldi, con i patrocinio del Comune di Milano, 2023, a cura di Marco De Crescenzo; “Macchia su macchia”, Palazzo delle Stelline, Milano, 2023 a cura di Monica Scardecchia; l’invito come Guest Artist nel Padiglione Cavaniglia, curato da Fortunato D’Amico, durante la XIII Florence Biennale 2021; Art Innsbruck 2021 e HOMI a Milano Fiera, 2023, a cura di Accorsi Arte di Torino, presso cui ha attualmente alcune opere in permanenza; FANGO, 2022, presso MAF e Centrale dell’Acqua a Milano a cura di Monica Scardecchia; “Inclusioni” a cura di Edoardo Maffeo nel 2022 presso il Castello Sforzesco di Vigevano.

L’Artista Indaga la condizione di “prigionia trasparente” dell’uomo contemporaneo e in particolare alcuni aspetti della memoria individuale e collettiva. Usa la pittura, la scultura, le installazioni e la performance, spesso contestualmente, trovando nella resina epossidica il materiale privilegiato per esprimersi.

Ha pubblicato due romanzi e una silloge poetica.

Pubblicato in arte, arte contemporanea, eventi | Contrassegnato , | Lascia un commento

SOSPESI E D’ISTANTI

Giuse Iannello- Pianeti sbagliati Giulietta Faccioli- Piano sequenza

Progetto grafico di Lorenzo Lucatelli

Il titolo di questa bi-personale vuole suggerire una posizione nello spazio che per Faccioli si relaziona al tempo, al preciso, irripetibile istante in cui il tuffatore si lancerà nel vuoto. Gli istanti che Iannello indaga sono spesso, con un gioco di parole, distanti, ripescati dalla memoria che da individuale si fa collettiva, nella certezza che il personale è anche politico, che la Storia si forma attraverso tante piccole storie personali e che ogni vita privata è sempre segnata dalla grande Storia.
Questa dimensione temporale accomuna le due Artiste di “Sospesi e d’istanti”, pur nella differente pratica artistica: più orientata alla pittura e alla figurazione Faccioli, più concettuale e articolata Iannello.

Il Curatore, Edoardo Maffeo, indaga proprio questi aspetti nella presentazione al catalogo della mostra, organizzata dall’Associazione EVUZ ART ODV con il supporto di Rete Cultura Vigevano e il Patrocinio del Comune di Vigevano.

Titolo: SOSPESI E D’ISTANTI

Luogo: Seconda Scuderia del Castello Sforzesco di Vigevano

Date: 22/4-7/5/2023, vernissage sabato 22/4 ore 16,00

Orari: sabato, domenica e festivi: 10,30/12,30 – 15,30/18,30 giorni feriali 15,30/18,30

Pubblicato in arte contemporanea, eventi, installazione, PITTURA, scultura | Contrassegnato , , , , , , | 1 commento

ISTANTANEA — EVUZ ART ODV

Sabato 25/3/23 alle ore 11.00 inagurerà la mostra collettiva “ISTANTANEA” a cura di Marco De Crescenzo. Ecco il comunicato stampa: ISTANTANEA COMUNICATO STAMPA La creatività di ogni artista si nutre di istanti, di attimi irripetibili e unici. Statiche immagini fuggenti che generano idee, fantasie, visioni, semi generanti di creatività. Questo “carpe diem” visivo ed immaginativo […]

ISTANTANEA — EVUZ ART ODV
Pubblicato in arte contemporanea, fotografia, installazione, performance, PITTURA, scultura | Contrassegnato , , , | Lascia un commento